La guerra dei mondi (II)

[Di seguito è riportata la seconda parte del testo che abbiamo scritto per l’episodio del podcast dedicato al celebre romanzo di H. G. Wells. La prima parte è in questo articolo.
Il socio ed io ci saremmo dovuti scambiare una serie di battute, alternandoci nel discorso, ed il testo è organizzato in tal modo. Purtroppo il socio non è riuscito ad essere presente alla registrazione, pertanto l’audio, che può essere ascoltato e scaricato qui, presenta una struttura un po’ diversa.]

Il romanzo alla radio

V: Veniamo al Welles che tu dicevi prima, che è Orson e non H. G. Più celebre del romanzo è lo spettacolo radiofonico che andò in onda la sera del 30 ottobre del 1938 su un’emittente del circuito CBS. La musica viene interrotta per annunciare che l’osservatorio di Chicago ha visto grandi fiammate sulla superficie di Marte, poi la normale programmazione continua. Salvo poi essere a più riprese interrotta con notizie dai toni sempre più concitati: lo speaker ci racconta di un oggetto caduto dal cielo nei pressi di Grovers Mills, nello stato del New Jersey.
G: Bene, piano piano gli alieni si stanno avvicinando a New York.
V: quello accadrà poi nel cinema, sarà un po’ una fissa degli americani. Gli annunci alla radio raccontano poi di alieni che escono dall’oggetto misterioso ed iniziano a fare fuoco contro i presenti, con tanto di grida ed effetti sonori registrati dal presunto inviato sul posto. Si segue il copione del romanzo, è il mezzo e il modo di narrarlo a cambiare. Questo programma sperimentale, scritto e recitato da un ventitreenne Orson Welles, fa nascere un mito, quello che poi vediamo ben raccontato in Quarto potere. Fin dal giorno successivo al programma radiofonico i giornali iniziano a parlare di un panico che avrebbe travolto gli americani, con scene apocalittiche a New York e tale notizia viene talmente ripetuta e amplificata che a tutt’oggi si crede veramente che gli americani quella notte del ‘38 fossero impazziti in massa.
G: Quanto c’è di vero in questa leggenda urbana?
V: È necessario fare una parentesi storica. Anzitutto non c’era una radio in ogni famiglia, erano ancora costose e non tanto diffuse. C’era tuttavia uno scontro aperto tra il nuovo mezzo di comunicazione e il vecchio, la stampa cartacea. Durante gli anni della Grande Depressione la radio aveva infatti iniziato ad accaparrarsi spazi pubblicitari a discapito dei giornali. L’episodio della trasmissione di Welles offrì un’ottima occasione sia per attaccare che per far progredire la radio. I giornali colsero l’occasione per screditarla come mezzo di comunicazione che ancora doveva provare la sua affidabilità e che anzi si era dimostrato potenzialmente pericoloso.
G: quindi non ci fu nessuna scena di panico?
V: Non ci fu nessun panico di massa: un sondaggio su 5000 persone che veniva abitualmente fatto per capire che programmi seguissero gli ascoltatori ci mostra che il programma di Welles, quella sera, fu seguito forse da un 2% scarso di pubblico perché c’era, a fargli concorrenza, un ben più noto spettacolo comico. Non c’è alcuna prova che poi gli americani abbiano in massa cambiato stazione durante l’intervento di Welles. Un libro pubblicato nel 1940, “The invasion from Mars” di Hadley Cantril, ha poi contribuito a cristallizzare il mito creato dai giornali.

Una scena del film La guerra dei mondi del 1953, diretto da Byron Haskin.

La guerra dei mondi al cinema

V: Il romanzo non ha avuto molti adattamenti diretti.
G: solo due in effetti, uno del ‘53 ed uno del 2005. In entrambi il terreno di battaglia è l’America piuttosto. Il primo di essi è innovativo per il cinema come il libro lo fu per la letteratura. A cominciare dal rifiuto di utilizzare i vecchi razzi alla Flash Gordon come mezzo per l’invasione. L’idea di dare l’apparenza di mante alle astronavi marziane e quella di teste di cobra per le torrette armate diede un nuovo look alla fantascienza.
V: La trama del film si discosta di molto da quella del romanzo, mantenendo più punti in comune con lo sceneggiato radiofonico: l’invasione è globale e l’intervento dell’esercito avviene subito. La resistenza umana viene spacciata facilmente attraverso le macchine mortali di cui gli alieni dispongono e persino le armi nucleari si rivelano inefficaci. Quando l’umanità è sull’orlo dell’estinzione interviene la natura a fermare i marziani, come accade nel romanzo.
G: Il film ha vinto l’oscar per i migliori effetti speciali e dal 2011 ha trovato posto nella biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per la sua importanza storica e artistica.
V: Il film ha un remake nel 2005. Spielberg porta ad un livello più personale l’invasione aliena, concentrandosi sulle vicende di una famiglia del New Jersey rimanendo però quanto più possibile fedele alla trama del romanzo.
G: Gli effetti speciali sono adeguati ai tempi, la storia no:
V: il personaggio di Tom Cruise, un semplice operaio, è scritto forse troppo in fretta e rimane schiavo del suo destino e questo non è l’unico difetto della sceneggiatura. I famigerati tripodi alieni sono già sulla Terra, dormienti nel sottosuolo da tempo imprecisato.
G: E non se ne è mai accorto nessuno?
V: Eh, pare di no. Gli alieni, che vengono da chissà dove con chissà quali mezzi, si limitano a piombare dal cielo a bordo di strane capsule che portano i loro piloti direttamente a bordo dei tripodi, che irrompono dal terreno cominciando la loro opera distruttrice.
G: Sembra poi che gli umani vengano raccolti perché il loro sangue serve da concime alle piante che gli alieni stanno diffondendo probabilmente per terraformare il nostro pianeta alle loro esigenze.
V: Nel romanzo sono i marziani che si nutrono direttamente del nostro sangue, come vampiri, e su questo fatto Wells fa un’interessante digressione sulla loro fisiologia che ben testimonia la passione dello scrittore per le scienze naturali. Da citare infine i mockbusters dell’Asylum del 2005 e del 2008, “War of the Worlds – l’invasione” e “ War of the Worlds 2 – The next wave”. Per chi conosce questa casa produttrice non c’è bisogno di dire altro.

Una scena del film del 2005, con uno dei tripodi che è appena emerso dal sottosuolo della città.

L’eredità cinematografica

V: Innumerevoli sono gli echi che questo romanzo ha avuto nel cinema e nella televisione dando vita al sempre verde filone dei film sulle invasioni aliene. Senza scavare troppo nel bianco e nero e limitandoci a tempi più recenti, ricordiamo la serie televisiva “Visitors” del 1984 e poi rifatta nel 2013, con i suoi celebri alieni rettili…
G: ah, i rettiliani, vuoi dire
V: non proprio quelli. Altro prodotto figlio de “La guerra dei mondi” è “Indipendence Day”. Qui il virus che sconfigge gli alieni è figlio della tecnologia
G: e gli alieni vengono presi a pugni in faccia.
V: ricordiamo ancora, solo per citarne alcuni, la serie tv “Falling Skies”, il film della Hasbro “Battleship”, poi “Battle: Los Angeles”, “Skyline” con il suo seguito. Anche John Carpenter ci parla di un’invasione aliena in “Essi vivono” film del 1988 a cui abbiamo dedicato un episodio delle pergamene. Non manca qualche variante comica sul tema, ad esempio “Mars attacks” di Tim Burton.
G: Il romanzo di Wells a più di un secolo dalla sua pubblicazione ha messo radici così profonde nell’immaginario collettivo da essere usato come trampolino da Hubbard per lanciare la sua religione, Scientology. Hubbard scrisse vari romanzi di fantascienza, tra cui “Battaglia per la terra”, da cui è stato tratto l’omonimo film in cui troviamo la civiltà umana sull’orlo dell’estinzione e schiava degli invasori alieni.
V: Il film è orribile. Non guardatelo. I titoli non si esauriscono qui e siamo piuttosto sicuri che Hollywood sfornerà ancora altri film a tema: in fin dei conti l’osservazione e l’esplorazione dello spazio non smetteranno mai di far viaggiare l’immaginazione dell’uomo.
G: Citiamo un ultimo titolo che ci permette di collegarci alla produzione giapponese: “Pacific Rim”.
V: In questo film vediamo che da una imprecisata dimensione o mondo gli alieni di turno aprono portali per scagliare immensi mostri, i Kaiju, contro l’umanità. Il film è un omaggio a tutte le serie di animazione giapponese che vedono una civiltà ostile, non sempre aliena, cercare di invadere il Giappone con i suoi mostri, meccanici o organici, e, dall’altra parte gli eroi a bordo dei loro robottoni che cercano di ostacolare gli invasori. Se in Goldrake, Daitarn, Daltanious, Zambot 3, e “La corazzata spaziale Yamato”, giusto per fare qualche nome, i cattivi sono extra-terresti, in Mazinga, Jeeg in alcune serie di Getter i nemici sono antiche civiltà terrestri dimenticate dal tempo e rimaste solo nei miti e nelle leggende.

Conclusione

V: Con questo concludiamo l’episodio. Un ringraziamento per l’ascolto da parte della penna…
G: … e del calamaio
V: ed saluto a Perseverance che sta tutto solo nelle sperdute e desolate
G: speriamo
V: lande marziane.

Fonti: La fantascienza di H. G. Wells, Mondadori Oscar Draghi, 2018; Jefferson Pooley & Michael J. Socolow, The Myth of the War of the Worlds Panic, Slate, 28 ottobre 2013.

La guerra dei mondi (I)

[Di seguito è riportato il testo che abbiamo scritto per l’episodio del podcast dedicato al celebre romanzo di H. G. Wells. Il socio ed io ci saremmo dovuti scambiare una serie di battute, alternandoci nel discorso, ed il testo è organizzato in tal modo. Purtroppo il socio non è riuscito ad essere presente alla registrazione, pertanto l’audio, che può essere ascoltato e scaricato qui, presenta una struttura un po’ diversa. Il testo è un po’ lungo, ho quindi preferito dividerlo in due articoli separati.]

V: Benvenuti ad un nuovo episodio, il brano in apertura è tratto da La guerra dei mondi di Herbert George Wells, il romanzo più celebre dello scrittore britannico, che crea il tema dell’invasione aliena all’interno del nuovo genere letterario che è la fantascienza.
G: Buona parte se non tutti i film sulle invasioni aliene nascono da quest’opera. Ne parleremo in abbondanza nella seconda parte dell’episodio.

L’autore

G: Welles, attore americano di inizio secolo…
V: No, quello è un altro Welles, ci arriviamo dopo. Il nostro è uno scrittore e non un attore. Wells, nato in Inghilterra nel 1866, frequentò la Normal School of Science di South Kensington. Tra i suoi insegnanti ci fu Thomas Huxley, noto come il “mastino di Darwin”. Nonostante Wells frequentò l’università per soli tre anni, gli studi scientifici che compì lo influenzarono profondamente e indirizzarono la sua carriera, sia giornalistica che letteraria. Dopo un breve periodo come insegnante, una malattia, che lo costrinse ad un periodo di immobilità, lo fece avvicinare alla scrittura. Da lì in poi iniziò una copiosissima produzione giornalistica in buona parte a tema scientifico.
G: quindi abbiamo l’ennesimo caposaldo della letteratura che non si è laureato?
V: finì gli studi alcuni anni dopo, laureandosi in zoologia, ma non è un aspetto importante. Quello che ci interessa è che Wells utilizzerà alcuni suoi saggi e articoli come base per alcune delle sue opere: citiamo ad esempio L’isola del dottor Moreau in cui confluiscono molte delle sue conoscenze in fatto di biologia. Anche La guerra dei mondi nasce dalla saggistica di Wells: in un articolo pubblicato nell’aprile del 1896 su The Scientific Review con il titolo Intelligence on Mars, Wells riprendeva alcune fantasiose teorie fisiche dell’inizio degli anni Novanta per impostare il suo personale immaginario dei marziani; un ragionamento che non porta da nessuna parte, almeno da punto di vista scientifico, ma che è fecondo dal punto di vista della letteratura.
G: Wells può ben essere considerato il padre della fantascienza e a lui dobbiamo temi fondamentali in questo genere: la macchina del tempo e quindi il viaggio nel tempo, l’invasione aliena, il primo contatto con altre civiltà aliene (i seleniti), lo scienziato pazzo, il dottor Moreau, che incurante della sofferenza umana coltiva i suoi ideali di perfezione.
V: Wells opera una contaminazione diretta tra scienza e letteratura, piegando la sua saggistica alla speculazione immaginativa. Ma non si limita a questo: fondamentale, nei suoi romanzi, è vedere l’impatto della scienza sull’uomo comune e sulla società, come la prima cambi e influisca sul secondo.
G: Wells non ha protagonisti, bensì testimoni dei tempi.
V: Questo suo approccio sarà fondamentale nella fantascienza futura e lo differenzia da Verne che è più concentrato sulla meraviglia dell’invenzione e della scoperta scientifica, come abbiamo detto nell’episodio dedicato a Ventimila leghe sotto i mari. Il Nautilus è descritto con accuratezza e verosimiglianza ma è la sua unicità a renderlo irrilevante per l’uomo comune, la cui vita non viene toccata da tale meraviglia. In Wells accade l’esatto contrario e lo vediamo bene ne La guerra dei mondi.
G: la questione è che Verne è uno scrittore d’avventura, Wells no.
V: La visione del presente e del futuro che Wells esprime nei suoi romanzi fantascientifici non è certo radiosa: in La macchina del tempo l’autore ci narra chiaramente una distopia, un futuro in cui le magnifiche sorti progressive dell’umanità sono rotolate nel fango. Qui vediamo una differenza importante con alcuni autori che abbiamo già trattato alle pergamene, Heinlein e Asimov, appartenenti alla golden age della fantascienza e successori di Wells. Ciò che accomuna tutti questi scrittori, come altri autori di fantascienza ancora oggi, è il tentativo di immaginare il futuro per capire meglio il presente.
G: Wells scrisse vari romanzi nel corso della sua vita che durò ottant’anni, non solo a tema fantascientifico ma furono senz’altro questi a renderlo famoso fino ai nostri giorni, grazie anche agli adattamenti e all’eredità cinematografica.

Il romanzo

G: C’è attività su Marte: centinaia di osservatori astronomici rilevano grandi fiammate ed esplosioni sulla superficie del pianeta rosso.
V: c’è da dire che Marte andava parecchio alla fine dell’ottocento, grazie agli studi dell’astronomo italiano Schiaparelli e l’osservazione dei canali sulla sua superficie fece pensare che fosse abitato. Un’eco nella narrativa era forse inevitabile: Wells non fu il solo a subire il fascino di questa moda. Dopo di lui ci fu Barroughs a portarci sul pianeta rosso insieme al suo John Carter, personaggio a cui abbiamo dedicato un episodio; molte altre volte poi Marte comparirà nella letteratura fantascientifica.
G: Secondo Wells da Marte però non arriva nulla di buono: un oggetto celeste piomba nei campi di un paesino a circa trenta chilometri a sud-est di Londra. Si tratta di un grande cilindro metallico da cui fuoriescono gli alieni, creature mostruose che iniziano subito a disintegrare i curiosi giunti sul posto con i loro raggi energetici.
V: Da lì l’invasione ha inizio. Piove un secondo cilindro, poi un terzo e poi altri ancora.
G: Marte era forse il candidato migliore da scegliere come antagonista anche per richiami al mito: Marte era infatti il dio della Guerra per i Greci e chi meglio di lui per attaccar briga?
V: I fatti sono narrati in prima persona da un protagonista che Wells non si preoccupa di delineare, tant’è che non ha neanche un nome. La sua funzione è quella di testimone, insieme al fratello, che viene semplicemente chiamato “mio fratello”. Quest’ultimo racconta ciò che accade a Londra, mentre il protagonista rimane in periferia e, spostandosi verso la capitale, solo alla fine si ricongiungerà con il fratello.
G: Nonostante la mancanza di un approfondimento dei personaggi, la descrizione che Wells fa delle macchine marziane e della loro schiacciante avanzata è estremamente efficace e di grande impatto: ben poco può il pur potente esercito inglese contro i giganteschi tripodi muniti di raggi disintegratori, lanciamissili e letale gas.
V: Le cannonate ne abbattono alcuni ma la forza nemica è superiore e il morale delle truppe cede in fretta. Cosa accade nella capitale?
G: L’invasione inizia in campagna ma tale notizia a Londra è relegata a folklore locale o, al più a curiosità. I londinesi si sentono ben al sicuro inizialmente e mentre i primi paesini di campagna vengono rasi al suolo la mondanità nella capitale prosegue come se nulla fosse. Quando però i tripodi arrivano in periferia, si scatena il panico ed un conseguente fuggi fuggi che viene narrato dal fratello del protagonista.
V: il fratello, nelle sue vicissitudini è accompagnato da vari personaggi secondari, che sono resi in maniera molto efficace e contribuiscono al terrorizzante scenario di una metropoli sotto attacco e pronta ad arrendersi.
G: I marziani sembrano destinati a conquistare l’Inghilterra e forse il mondo in pochi giorni se non fosse per l’unico avversario che non hanno preso in considerazione:
V: Gea, la madre terra, è scesa in campo per difendersi. I marziani non conoscono le malattie né i batteri sul loro pianeta e saranno proprio questi a fare strage degli invasori.
G: Un espediente che da Visitors ad Indipendence Day non è mai mancato ad Hollywood ma che in tempi recenti lo vediamo come un po’ abusato.
V: A fine 1800 nessuno era mai andato nello spazio e le tute spaziali non erano nemmeno concepite e le uniche tute ambientali erano gli scafandri dei palombari. Che i marziani di Wells scorrazzassero nudi sulla terra è comprensibile e scusabile, che ciò accada sistematicamente nelle narrazioni degli ultimi 30 o 40 anni non lo è, sembra solo un brutto asso nella manica per sbrogliare una intricata matassa, ovvero alieni altrimenti invincibili.
G: in definitiva il tema fondamentale del romanzo è la paura dell’invasione straniera.
V: Wells cattura lo spirito del tempo, il sentimento di un impero, quello britannico, che sta scricchiolando ed è in declino. Anche nella macchina del tempo l’autore ci descrive una Londra distopica e trasformata da un conflitto. Sono scenari bellici che poi si concretizzeranno in quelli, reali, delle successive grandi guerre. Wells cattura ancora lo spirito di un mondo in divenire descrivendoci una guerra che non è più relegata a scontri tra eserciti nei campi di battaglia, come quelle napoleoniche, ma investe direttamente le città e le sue popolazioni.
Probabilmente il romanzo mette a nudo anche ad un altro timore, che viene direttamente espresso in una conversazione tra due personaggi: cosa accadrebbe all’Inghilterra se ci fosse una potenza straniera con le sue stesse mire e progetti colonialisti?

Fonti: La fantascienza di H. G. Wells, Mondadori Oscar Draghi, 2018; illustrazioni di Malleus.

Il Corsaro Nero

[Di seguito è riportato il testo che abbiamo scritto per l’episodio del podcast dedicato al ciclo dei Corsari delle Antille, che comprende cinque romanzi di Emilio Salgari. L’episodio può essere ascoltato e scaricato qui.]

Benvenuti ad un nuovo episodio, il brano in apertura è tratto da Il corsaro nero. Torniamo quindi ad imbarcarci in un altro celebre ciclo di romanzi di Emilio Salgari. Nell’episodio del 18 ottobre abbiamo parlato di Sandokan e dei pirati della Malesia, oggi lasciamo le acque del sud-est asiatico e andiamo all’arrembaggio delle navi spagnole razziando i mari delle antille in compagnia dei filibustieri. L’epoca è la seconda metà del 1600.

L’autore

Per quel che riguarda la sfortunata vita dello scrittore veronese vi rimandiamo all’episodio citato precedentemente.

I romanzi

Il ciclo dei pirati delle Antille si apre con Il corsaro nero, pubblicato nel 1898, e prosegue con i suoi discendenti in un arco di cinque romanzi che si conclude nel 1908 con Gli Ultimi filibustieri. Dopo quindici anni dall’uscita de Le tigri di Mompracem troviamo un Salgari più maturo e molto a suo agio con le armi bianche di foggia europea a lui ben più familiari dei kris indiani. Salgari praticava infatti la scherma cosa che gli consentì di descrivere in maniere molto vivida ed efficace i duelli anche più di quanto non abbia fatto Dumas con i suoi celebri spadaccini.

Salgari continua con il suo metodo di meticolosa documentazione riguardo la storia dei pirati, la flora e la fauna del luogo, riuscendo a farci scoprire sia i mari dei caraibi che la pericolosa giungla del centro America. Il mondo della filibusteria e della guerra di corsa è esistito veramente, ha lasciato un’impronta sull’immaginario collettivo e alimentato una letteratura di genere. Salgari non è in grado di attingere direttamente alla fonte di questa letteratura che è la Storia degli avventurieri, filibustieri e bucanieri che si sono distinti nelle Indie uscita in Olanda nel 1678 ad opera dell’Exmelin, una figura irripetibile di chirurgo, pirata e cronista; ma ha consultato le pubblicazioni ottocentesche che ne derivano.

Kabir Bedi nei panni del Corsaro Nero nell’omonimo film di Sergio Sollima del 1976.
I personaggi

Dopo un personaggio sanguigno com’era il principe borneese Sandokan, troviamo come anfitrione un lugubre nobile italiano che, spinto dalla vendetta, rinasce pirata. Ecco la descrizione con cui entra per la prima volta in scena il nuovo personaggio:

“Era vestito completamente di nero e con una eleganza che non era abituale fra i filibustieri del grande Golfo del Messico, uomini che si accontentavano di un paio di calzoni e d’una camicia, e che curavano più le loro armi che gli indumenti. Portava una ricca casacca di seta nera, adorna di pizzi d’egual colore, coi risvolti di pelle egualmente nera; calzoni pure di seta nera, stretti da una larga fascia frangiata; alti stivali alla scudiera e sul capo un grande cappello di feltro adorno d’una lunga piuma nera che gli scendeva fino alle spalle. Anche l’aspetto di quell’uomo aveva, come il vestito, qualche cosa di funebre, con quel volto pallido, quasi marmoreo, che spiccava stranamente fra le nere trine del colletto e le larghe tese del cappello, adorno d’una barba corta, nera, tagliata alla nazzarena ed un po’ arricciata.”

Emilio di Roccanera, così si chiama il corsaro Nero, è conte di Ventimiglia e signore di Valpenta. Suo fratello maggiore, in un oscuro episodio della guerra delle Fiandre, viene ucciso dal duca fiammingo Wan Guld, che si è macchiato di tradimento per ottenere dagli Spagnoli la nomina a governatore di Maracaybo, nella colonia americana. Emilio e gli altri due fratelli rimasti vivi partono per le Americhe all’inseguimento del traditore e diventano pirati per ucciderlo. Abbiamo quindi tre corsari, il Verde, il Rosso e il Nero. I primi due non riescono nel loro intento e sono invece impiccati da Wan Guld: il primo romanzo si apre infatti con il corsaro nero che, compiendo un audace gesto, va a recuperare il corpo del fratello, il corsaro rosso, appeso in bella mostra nella piazza principale di Maracaybo. Il corsaro nero riporta il cadavere del fratello a bordo della sua Folgore e durante la cerimonia funebre pronuncia un terribile giuramento: sterminerà Wan Guld e tutta la sua famiglia, cancellando il suo nome dalla storia. La vendetta è quindi il tema principale dei primi due romanzi, che sono essenzialmente un lungo ma mai noioso inseguimento alla ricerca di Wan Guld, che, in qualche modo, riesce sempre a sfuggire al corsaro.

Il giuramento finirà per tormentare il corsaro quando scoprirà che la fanciulla di cui si è innamorato è la figlia del suo acerrimo nemico. Durante l’arrembaggio ad una nave spagnola Emilio cattura una giovane duchessa fiamminga che, per come si presenta, è la copia della Marianna di Sandokan. I due si invaghiscono l’uno dell’altro e, dopo la terribile rivelazione su chi sia veramente Marianna, il corsaro è combattuto tra amore e onore: incapace di uccidere l’amata decide piuttosto di abbandonarla da sola per mare a bordo di una scialuppa. I due si ritroveranno poi alla fine de La regina dei Caraibi, il seguito de Il corsaro nero.

Emilio di Roccanera è un personaggio di morte, non solo per il tema della vendetta e per il suo abbigliamento, egli è infatti ossessionato dalle visioni dei fratelli morti che riemergono dal mare per ricordargli il suo giuramento. Vediamo scene spettrali con fuochi di sant’elmo, fuochi fatue e bagliori fluorescenti nelle acque del mare. Qui le vecchie leggende marinare riprendono vita riportandoci alla mente echi dell’Olandese volante e di navi fantasma.

I comprimari, che troviamo anche nei romanzi seguenti, sono la coppia Carmaux e Wan Stiller, un biscaglino e un amburghese, l’erculeo nero Moko, e Morgan, il celebre pirata del sacco di Panama, personaggio storico realmente esistito.

Il cattivo, come per il rajah Brooke del ciclo di Sandokan, è un governatore europeo sterminatore di pirati. Sono i toni del confronto ad essere diversi: mentre tra lord Brooke e Sandokan c’è un confronto tra nobiluomini che riguarda la resistenza di un popolo sottomesso da un governo colonialista, dall’altra parte del mondo il confronto è dovuto solo a questioni personali.

Le vicende del corsaro nero si concludono nel secondo libro: egli riesce a compiere la sua vendetta, anche se in maniera non scontata, non vi diciamo come. Si ricongiunge con Honorata, che è sopravvissuta ed è diventata regina degli antropofagi. I due escono di scena alla fine de La regina dei caraibi, andandosene via di nascosto notte tempo a bordo di una scialuppa. Il corsaro ha compiuto la sua vendetta, il suo arco narrativo si è concluso ed è dunque sensato che esca di scena. Salgari ci dice comunque che fine fa in Jolanda la figlia del corsaro nero, il terzo romanzo del ciclo. Durante una conversazione in taverna tra Carmaux e Wan Stiller scopriamo che il corsaro nero è tornato nei suoi possedimenti in Italia insieme ad Honorata e quasi conduce vita borghese. Tuttavia i due non sono destinati ad invecchiare serenamente: Honorata muore dando luce ad una bambina e Emilio cerca e trova la morte sulle Alpi, combattendo contro i Francesi che minacciavano d’invadere il Piemonte.

Entra in scena una nuova generazione e, come spesso accade i figli prendono il posto dei padri e continuano le loro lotte. La protagonista è ora Jolanda, figlia del corsaro nero e di Honorata, che va in America per reclamare un’eredità contesa dall’antagonista, che è il figlio di Wan Guld: il vecchio scontro passa così alla nuova generazione. Jolanda è affiancata da Morgan, ma di fatto lo fa sfigurare: è lei al centro dell’azione, più abile e combattiva del pirata, al punto che, citando Boris, ci sembra la figlia di Mazinga. Ovviamente i due si innamorano e concludono le loro vicende ritirandosi dalla pirateria per godersi le favolose ricchezze ottenute durante il sacco di Panama.

Nel quarto libro si passa quindi ad un nuovo personaggio, il figlio del corsaro rosso. È smagliante questo rampollo dei Ventimiglia che fa la sua apparizione nel salone della marchesa di Montelimar, con cui balla un irresistibile fandango suscitando

passioni e gelosie. Ha anche lui una missione, deve assicurare l’eredità a una sorella, che suo padre, il Corsaro Rosso, ha avuto da una principessa del Darien, difendendola dalle cupidigie del cattivo di turno, il marchese di Montelimar. Inoltre, questo giovane Ventimiglia sarà un corsaro, ma soprattutto è uno spadaccino: e un episodio

culminante infatti è il duello con El Valiente, il professionista che uccide su commissione. La narrazione piega verso Dumas e i suoi Tre moschettieri, mentre acquistano peso personaggi come il bucaniere Buttafuoco, il fiammingo, il basco Mendoza, il guascone don Barrejo.

Gli ultimi filibustieri chiude il ciclo con un notevole cambio di tono: si finisce infatti allegramente, in una risata colossale, tra sbronze, spacconate, prodezze mirabolanti di una banda di cialtroni. La taverna diventa un luogo centrale, la botte un oggetto di culto e anche il protagonista, Don Barrejo, è sopra le righe e ne combina di tutti i colori. Con Don Barrejo ritroviamo la figura del guascone avventato e scavezzacollo che già avevamo visto con D’Artagnan nell’episodio dedicato a I tre moschettieri. Don Barrejo è un cadetto dalle gambe lunghissime, gran donnaiolo, gran bevitore e millantatore. Tra gli episodi di cui è protagonista dobbiamo ricordiamo l’esilarante e rocambolesca lotta con il condor: lo scontro con il pennuto inizia in cima ad un albero, poi Don Barrejo si aggrappa alle zampe del condor, plana come col paracadute sul dorso di un toro, fa una galoppata furibonda impugnando le corna del bovino e finisce per capitombolare incolume dentro un cespuglio mentre l’animale inferocito si schianta infilzato in un palo aguzzo.

Altri pirati nella letteratura

Salgari non è stato l’unico scrittore a narrare le gesta dei pirati: venendo a tempi più moderni troviamo Valerio Evangelisti, reso famoso dal suo inquisitore Eymerich, con la sua trilogia di romanzi Tortuga, Vera Cruz e Cartagena.

I pirati al cinema

Come è avvenuto per Sandokan anche il corsaro nero ha una lunga storia cinematografica. Solamente La regina dei Caraibi non è mai stato trasposto su pellicola mentre dagli altri quattro romanzi del ciclo sono stati tratti film fin dagli anni venti. Nel 1971 il primo adattamento a colori vede un giovanissimo Terence Hill vestire i panni del celebre corsaro e Bud Spencer in un ruolo minore da cattivo. Cinque anni dopo vediamo che Sandokan e il corsaro nero hanno lo stesso volto, quello di Kabir Bedi, diretto con successo da Sergio Sollima.

I pirati sono tornati negli anni ottanta con un adattamento di Roman Polanski, dal tiolo Pirati, in cui il ruolo di Capitan Red, interpretato da Walter Matthaw, ci riporta cromaticamente al corsaro rosso.

Oggigiorno i pirati sono diventati quelli dei Caraibi, ciclo Disney, divenuto ormai un brand, che raccoglie tutte le leggende dei sette mari e le fonde con la pirateria. Il personaggio ricorrente in questo ciclo è Jack Sparrow, pirata scanzonato interpretato da Johnny Depp. I film fondono un po’ le due epopee salgariane, pur avendo ben poco a che fare con esse, creando un nuovo lord Brooke per un’ambientazione caraibica: vediamo infatti che la legge è amministrata e rappresentata dagli inglesi anziché dagli spagnoli.

Le incursioni dei pirati arrivano poi nello spazio, una sorta di ideale prosecuzione del mare. Qui citiamo solo una delle figure più emblematiche, capitan Harlock con la sua Arcadia. Leiji Matsumoto dipinge una figura romantica che un po’ ricorda quella dei pirati salgariani, del corsaro nero in particolare.

I pirati nei gdr

Un personaggio senza tempo come quello del pirata non può mancare nel gioco di ruolo. Avventurieri, spadaccini, canaglie, romantici capitani sembrano fatti apposta per essere vissuti al tavolo. Citiamo alcuni gdr a tema: dagli swashbuckler e dallo spelljammer di D&D a giochi come 7th Sea che abilmente trasporta in un’ambientazione piratesca (senza però limitarsi ad essa).

Conclusione

Vogliamo concludere l’episodio con un ringraziamento a Salgari che ci ha regalato queste splendide avventure. Buone letture e alla prossima puntata.

Che fine hanno fatto le pergamene?

Quest’anno ho scritto pochissimi articoli e senza alcuna regolarità. Il motivo è abbastanza semplice: ho pubblicato un maggior numero di episodi del podcast, dunque mi sono dedicato più a quello. Da gennaio ad aprile l’uscita degli episodi è stata settimanale anziché quindicinale e non riuscivo a pubblicare anche i relativi articoli qui sul blog. Ho deciso di rinunciare all’idea di scrivere un articolo qui per ogni episodio del podcast, non ci sto dietro. D’ora in avanti proporrò, senza alcuna regolarità, articoli di due tipi:

  • argomenti riguardo a narrativa e cinema che non tratto nel podcast;
  • le sceneggiature di alcuni episodi del podcast. I primi episodi non sono stati scritti, l’idea era di proporre gli argomenti come un dialogo tra il mio socio e me, cosa che però non riusciamo a portare avanti in maniera stabile. Ho deciso quindi di scrivere il testo di alcuni episodi per poi registrarne la lettura. A partire da maggio pubblicherò man mano questi testi, anche perché può esserci qualcuno che preferisce la lettura all’ascolto.

Gli episodi del podcast più recenti sono raccolti in una pagina dedicata.

Scrivo un libro dalla mia campagna di Dungeons & Dragons. Fantasy un tanto al chilo.

Che il gioco di ruolo, a cominciare da Dungeons & Dragons, tragga linfa vitale dalla narrativa è un fatto di cui ho già parlato in questo blog. Lo stesso Gygax, nella prefazione alla prima edizione di D&D scrive che il suo gioco è dedicato a chi vuole rivivere al tavolo le avventure di Conan il barbaro, di John Carter di Marte, di Fafhrd e Grey Mouser. Il progetto che la TSR porterà avanti negli anni ’80 con la Dragonlance vedrà poi l’uscita di numerosi romanzi che si affianca a quella dei supplementi del gioco, un connubio felice e di successo. La TSR affidò la stesura dei romanzi a scrittori di professione, Tracy Hickman e Margaret Weis, che divennero poi famosi per tali libri. Il progetto editoriale della TSR non nasce certo dalla velleità di alcuni nerd che, tutti eccitati dopo la loro campagna di D&D, decidono di pubblicare romanzi con la pretesa che ne venga fuori qualcosa di decente. Un’affermazione ovvia per chi è estraneo al mondo del gdr, molto meno per chi ne fa parte.
Oggi vi racconto un’esperimento che ho fatto andandomi a tuffare, consapevolmente, in un pantano, per scoprire questa meravigliosa nicchia di persone che, non avendo alcuna esperienza in campo editoriale o di scrittura, per il solo fatto di aver masterizzato qualche campagna di gdr, si mettono a scrivere libri. Mi limito ad uno solo, quello che sono faticosamente riuscito a leggere. Non credo che ripeterò l’esperimento, il mio spirito di ricerca e di avventura ha un limite. Il libro in questione s’intitola Nella morsa del lupo.

Chi ha paura del lupo cattivo?

Lo dico subito, il libro è più che mediocre, non funziona, l’ho finito solo perché, fortunatamente, è corto (174 pagine). Sembra più un decalogo sugli errori da non fare nella scrittura che un romanzo vero e proprio.
Partiamo dalle questioni generali: ripetitività, trama troncata con l’accetta, il detto che prevale sul mostrato, atmosfera che dopo un po’ diventa stucchevole, trama tutt’altro che avvincente e, infine, si vede che è una campagna di D&D.
Atmosfera: il romanzo è dichiaratamente un dark fantasy, inizia con toni piuttosto cupi e prosegue in una dimensione oscura in cui i personaggi finiscono, una sorta di Universo Specchio, per chi conosce Star Trek, o di Sottosopra, per chi ha visto Stranger Things. Il Ravenloft, per chi conosce un po’ le ambientazioni di D&D. Il fatto è che non vi è traccia di battute o momenti che smorzino tutta questa oscurità, un qualcosa che invece è importante affinché l’atmosfera e i toni non finiscano per satollare e stufare il lettore. Ne ho parlato meglio, anche se in un altro ambito, nell’episodio del podcast dedicato a Le miniere di Re Salomone, di Haggard.
Ripetitività: affligge il romanzo (e il lettore) a più livelli, a cominciare dall’atmosfera, come appena detto, ma anche a livello lessicale. Uno dei personaggi, di cui parlerò in seguito, ha gli occhi verdi smeraldo belli belli e questo ci viene ricordato ad ogni piè sospinto: la parola smeraldo, collegata agli occhi del personaggio, compare 38 volte nel romanzo, non male per un libro così corto. Questo è il più eclatante degli esempi. Cito un’altra frase: “Il peso del corpo di Morena si fece più pesante. Quando il nobile fu sazio, si allontanò lentamente dalla parete: la donna scivolò pesantemente al suolo con la gola ridotta in brandelli di carne insanguinata.” A proposito di donne, sono tutte bellissime, incluse quelle povere e denutrite. Non ce n’è una brutta nemmeno a pagarla oro.
Trama troncata con l’accetta: c’è poco da dire qui. Il romanzo ad un certo punto finisce e basta senza che la trama e le vicende narrate lo siano. La fine arriva di botto, così, lasciando il lettore piuttosto basito e con la sensazione di avere tra le mani solo mezzo romanzo. Fretta di pubblicare? Mancanza di idee? Volontà di accollare al lettore una saga fantasy? Poco rispetto nei confronti del suddetto lettore?
Detto, mostrato e spoiler: l’autore ha un’altra pessima abitudine, quella di privilegiare il detto rispetto al mostrato. In particolare riporta spesso i pensieri dei personaggi e le loro conversazioni relative a ciò che hanno in mente di combinare nelle prossime scene. Durante una partita di gdr accade ovviamente che i giocatori dicano cosa i loro personaggi hanno in mente di fare e cosa frulla nelle loro teste, in un romanzo questo approccio non funziona, può togliere sorpresa e tensione, vuol dire buttar via tanti strumenti narrativi che un autore può usare per tenere incollato il lettore alle pagine. Quando poi questi pensieri e conversazioni riguardano le mire ultime di alcuni personaggi e ciò che due di loro vogliono fare a danno degli altri due, stiamo praticamente sfociando nello spoiler più gratuito. Leggiamo di Tizio che confabula con Caio per uccidere, nel momento più favorevole, Pinco e Pallino e puntualmente le cose vanno così. La trama è tutta telefonata, sappiamo in anticipo ciò che accadrà nelle prossime 30-40 pagine, inclusa la fine del romanzo che, nella mente dell’autore, sarebbe dovuta essere un gran colpo di scena.
È una campagna di D&D: chi gioca di ruolo e conosce Dungeons & Dragons ritroverà facilmente personaggi e situazioni, il che può anche essere simpatico, all’inizio. Il fatto è che la cosa risulta troppo evidente a chi è contemporaneamente un giocatore e un lettore smaliziato: si vede che è una campagna di D&D trasposta, con poca perizia, in un romanzo. I combattimenti abbondano senza essere mai davvero avvincenti e in più punti la trama procede tramite quest. Ne viene fuori un qualcosa che non è e non poteva essere ottimale.

I personaggi

Se il romanzo è la trasposizione di una campagna di D&D, non può mancare un party, ovvero il classico gruppo di avventurieri. E infatti non manca, sono quattro, come da copione. Vediamo chi sono.
Rexir, il necromante: è alto, pallido, emaciato, vestito di nero e, ovviamente, pazzo. Sogna di studiare e trasformare in non-morti buona parte degli esseri senzienti. Roba già vista e sentita? Assolutamente sì.
Valadier, il discepolo dei Maestri di Cristallo: l’unico personaggio interessante e un po’ originale. È figlio di un uomo che si può tramutare in drago dalle scaglie di smeraldo ed ha appreso una notevole tecnica di combattimento con le spade che consente di incanalare nelle armi sue e degli alleati la possente voce del Drago attorno al quale l’ordine dei Maestri di Cristallo è nato. Valadier, in soldoni, è in grado di usare potenti armi soniche. Ah, dimenticavo, Valadier, nella sua lingua, vuol dire smeraldo, giusto per ricordarvi la parola smeraldo e di che colore ha gli occhi questo personaggio.
Easly Van Fanel, il Cacciatore: avete presente Solomon Kane o il Van Helsing interpretato al cinema da Hugh Jackman? È lui, va in giro vestito allo stesso modo. È il rampollo di una famiglia nobile, tutti cacciatori di mostri. Tutti, non ce ne fosse uno che voleva fare il pittore o l’architetto. Pare che il retaggio della famiglia Van Fanel sia quello di controllare i lupi o trasformarsi in un lupo, non è molto chiaro, non che sia così rilevante.
O’Wak, il druido: c’è poco da dire. Ovviamente ha un compagno animale, un lupo, al seguito.

La piaga del background

Sembra qualcosa di imprescindibile e necessario per alcuni giocatori di ruolo, in particolare per quelli di D&D. Un dogma e un dovere. Più sono lunghi i background, meglio è. Il lettore di Nella morsa del lupo non ne è esentato, ma vorrei quanto meno risparmiare il lettore di questo articolo. Una parte di questi background, che arrivano alla generazione precedente, sono legati alle vicende narrate nel romanzo, ma non si tratta di nulla di sensazionale, né fondamentale, né imprescindibile.

Il mondo

Alcune montagne, una foresta, una locanda e una città in riva ad un lago, Saarland. Tutto qui. E poi c’è Uril, la dimensione parallela in cui finiscono i protagonisti, dove, in più, c’è un’altra città, Adleran. L’aspetto positivo di un mondo così scarno è che l’autore non ci attacca pipponi introduttivi e non fa digressioni su mille dettagli di un universo smisurato. Almeno per questa cosa mi sento di doverlo ringraziare.

Le vicende

Bruce Campbell in L’armata delle tenebre.

Allerta spoiler: se, nonostante tutto, volete comperare e leggere il libro, saltate questo paragrafo.
Partiamo subito con un bel capitolo di background, che riguarda il padre di Valadier e i genitori di Easley. Questi ultimi sono due Van Fanel, fratello e sorella. La famiglia, che regna su Saarland, contrariata dal rapporto incestuoso, ingaggia alcuni uomini, tra cui il padre di Valadier, per sistemare a dovere i due depravati. I genitori di Easley sono per giunta due cattivoni e dei combattenti esperti e non è affatto facile avere la meglio su di loro. Il padre di Valadier decide, con l’aiuto del padre di O’Wak, che è sempre un duido, di esiliarli in una dimensione parallela, Uril. La trappola scatta ma le cose non vanno come previsto: forse il padre di Valadier è una mezza pippa, anche quando si tramuta in un enorme drago, forse i genitori di Easley sono troppo abili, sta di fatto che il padre di O’Wak è costretto a recitare di corsa il suo incantesimo prima che il padre di Valadier venga ammazzato in malo modo dal padre di Easley, che è tipo un super ninja. Risultato: i due finiscono su Uril, ma non la madre di Easley, che ritroveremo tra poco. Il fatto è ignoto sia a Valadier che a Easley, che all’epoca erano poco più che neonati.
Anche il padre di O’Wak finisce su Uril, esiliandosi di propria spontanea volontà insieme a tre feroci giganti che minacciavano di devastare il suo villaggio, il tutto sotto gli occhi di O’Wak.
Troviamo Valadier, Easley e Rexir in viaggio per Saarland, ognuno per motivi diversi e nessuno di questi rilevante. Con loro, che non si conoscono ancora, ci sono un cocchiere e due mercanti, inutili comparse che moriranno come cani alla prima occasione. Si fermano in una taverna e qui incontrano O’Wak, che si offre di far loro da guida nella foresta il giorno seguente. In questa selva oscura i nostri vengono attaccati dalla madre di Easley che ha al seguito un piccolo branco di lupi di ghiaccio. La tipa è un osso duro, una cattivona con mille assi nella manica e i nostri hanno la peggio. Per salvare tutti O’Wak decide di usare la formula magica che aveva impiegato suo padre e, guarda un po’, i quattro si ritrovano su Uril. Avete presente la scena del klaatu barada nikto su L’armata delle tenebre? Uguale, solo che questo romanzo si prende dannatamente sul serio.
La madre di Easley avrà attaccato il gruppo per farlo finire appositamente su Uril? Chi lo sa, sta di fatto che doveva andare così, la campagna di D&D doveva svolgersi in questa dimensione parallela del resto. All’inizio non è chiaro ai personaggi di essere finiti in un mondo parallela, la foresta è la stessa, anche se più spettrale e inquietante. Lo capiranno quando arriveranno in una Saarland devastata da una guerra che non ci sarebbe dovuta essere. I nostri scoprono quindi che nella Saarland dove sono finiti, i Van Fanel sono stati sconfitti da un despota chiamato l’Aquila di Sangue, un cattivone che non si vedrà mai nel romanzo.
Easley porta i suoi compagni al maniero dei Van Fanel, dove il gruppo fa una scoperta che permetterebbe loro di tornare nel mondo da cui provengono: una lista del Cacciatore e cinque nicchie in un muro dove alloggiare altrettante teste di creature descritte nella lista.
Scattano le quest e i personaggi si mettono in caccia delle teste, cosa che prevede abbondanti avventure e combattimenti. C’è una complicazione: se Rexir era pazzo già di suo, ora anche Easley è sulla buona strada. Pare infatti che Uril abbia un gran brutto effetto sulla sua mente e sul suo corpo, corrompendoli. Scopre di avere nuovi poteri ed una gran sete di sangue, che deve assolutamente saziare. E qui non si capisce se Easley sia un lupo o un vampiro, dal momento che beve sangue e ammalia le persone fino a sottometterle alla sua volontà. Poco importa, ciò che conta è che Easley è diventato un cattivone e vuole usare chi gli sta intorno per sconfiggere e uccidere l’Aquila di Sangue e conquistare il mondo. Nonostante quel mondo sia squallido, cupo, sporco e misero. Valadier e O’Wak sono troppo buoni per lui, hanno il cuore nobile, e dunque Easley complotta con Rexir per ucciderli. Il fatto è che l’autore, tramite i pensieri e le conversazioni tra i due, ce lo spiattella spudoratamente ben prima di mostrarci i fatti, con il risultato che noi sappiamo troppo e con abbondante anticipo.
Il libro finisce con uno scontro tra il gruppo e due dei tre giganti che il padre di O’Wak aveva esiliato su Uril, scontro in cui O’Wak viene ucciso dai uno dei giganti e Valadier, che si batte come un leone, da Easley e da Rexir, che lo tradiscono proprio come ci aspettavamo. Nemmeno un colpo di scena, nemmeno alla fine. Ho tagliato corto e troncato vicende collaterali, ma visto che l’autore è il primo a troncare la trama, io mi adeguo. Volevate tutti i particolari della storia d’amore che nasce tra il povero Valadier ed un capitano delle guardie dell’Aquila che i nostri erano riusciti a trascinare dalla loro parte? Forse nel prossimo volume della saga vedremo il capitano, ovviamente una strafica, che vendica la morte del suo amato, ma non credo lo appurerò mai.

Conclusione

Partiamo dalla premessa della storia: scrivere un romanzo da una campagna di D&D. Può sembrare un’idea simpatica ai giocatori di ruolo ma di base non è una buona idea, per diverse ragioni. Prima fra tutte che la trama di un romanzo non è una cosa banale, richiede un progetto ed è necessario che essa e i personaggi siano sotto il controllo dello scrittore, cosa che chiaramente non avviene per una campagna di D&D, in cui i personaggi sono tutti in mano ai giocatori (e ci mancherebbe altro). Il risultato finale non può per tanto essere ottimale, al meglio può essere un riaggiustamento ed una sistemazione che renda presentabile ciò che è avvenuto nel corso delle varie sessioni di gioco e lo faccia sembrare un romanzo. Sospettavo qualcosa del genere ma ho voluto lo stesso acquistare e leggere il libro per toccare con mano un fenomeno. Poi si aggiungono tutti i problemi che ho sopra descritto.
Un primo tentativo, un esordio dunque, che problema c’è? Il problema c’è, eccome. In un mondo afflitto dalla sovrapproduzione, che arriva a livelli assurdi nel campo dell’editoria, volere a tutti i costi pubblicare perché si pensa di aver scritto qualcosa di decente o di fico non è un bene. Per nessuno, né per i lettori, né per gli editori, né per gli scrittori. Si finisce solo per abbassare il livello e il fantasy, almeno in Italia, è già messo molto male perché è considerato spazzatura. Eppure alcune opere valide ci sono, anche di autori moderni, basta guardare a qualche titolo della Acheron Books, una piccola ma notevole casa editrice italiana specializzata nel fantastico. Questo discorso meriterebbe uno spazio a parte e non intendo iniziarlo qui. Mi limiterò a dire che un libro mediocre come Nella morsa del lupo non aiuta i bravi scrittori di libri fantasy, anzi, li danneggia, perché non fa altro che confermare il pregiudizio che la narrativa fantasy sia tutta paccottiglia.
Infine lo confesso, ho letto il libro perché sono un po’ come San Tommaso, non credevo che davvero ci fosse gente che scrive roba simile, libri tratti dalle proprie campagne di gdr. Ripenso ad una delle battute di Newt, la bambina di Aliens: “Mia madre mi diceva che i mostri non esistono. E invece esistono”.

Buon anno da Ambrose Bierce

Anno (s. m.). Periodo fatto di trecentosessantacinque delusioni.

Ambrose bierce, Il dizionario del diavolo.

Iniziamo il nuovo anno con una tagliente frase del celebre scrittore e giornalista americano che ha ispirato vari scrittori, tra cui Lovecraft. È indubbio che il racconto del solitario di Providence Il colore venuto dallo spazio si rifaccia a La cosa maledetta di Bierce, sia per quel che riguarda la trama che per il nome del protagonista, Ammi Bierce.
Di Bierce e de La cosa maledetta parliamo in maniera più estesa in questo episodio extra del podcast.

Fonti: Ambrose Bierce, Il dizionario del diavolo, Baldini Castoldi Dalai editore, 2005; Ambrose Bierce, Tutti i racconti dell’orrore, Newton Compton editori, 1994; H. P. Lovecraft, I miei orrori preferiti, Newton Compton editori, 1994.

Buon Natale da Kingsport

Uno dei racconti di Lovecraft del Ciclo di Cthulhu si svolge il giorno di Natale a Kingsport, una città immaginaria del New England incubico in cui sono ambientate tante storie dello scrittore di Providence.
Lovecraft vi trasporterà in una desolata cittadina ammantata di neve, dove nulla è come sembra e ogni cosa pare avviluppata da un alone di mistero e di orrore, inclusa la celebrazione del Natale.

Ho scelto questo racconto per augurarvi buone feste e buone (terrificanti) letture.

L’episodio può essere scaricato qui.

Fonti: Howard Phillips Lovecraft, Le storie del Ciclo di Cthulhu, Il mito, Tomo I, Newton Compton editori, 1993.

La trilogia del dollaro, di Sergio Leone

Sergio Leone è uno dei più grandi registi della storia del cinema, uno di quelli che fanno scuola e, del tutto incidentalmente, è anche uno dei nostri registi preferiti, se non il preferito. Meno noto è il fatto che fosse anche un grande narratore, in grado di raccontare a voce i suoi film per inquadrature, film che lui aveva già in testa prima di averli girati. Più di una volta è riuscito a farsi produrre i film in questo modo, senza neanche un minimo di sceneggiatura pronta, ammaliando i suoi interlocutori con il vivido racconto delle varie scene, già montate alla perfezione. Era un visionario, un mago del teatro della mente.

Un magnifico Gian Maria Volonté nei panni dello spietato Ramon in Per un pugno di dollari.

Non fu un regista prolifico, sia perché morì a soli sessant’anni e sia perché i suoi progetti erano ogni volta più grandi, impegnativi e faticosi: C’era una volta in America lo fu in modo particolare e logorò non poco Leone. Girò sette film in totale, iniziando con il genere peplum, per poi passare agli spaghetti western e per finire con un film sui gangster. Non fece in tempo a passare ai film di guerra, di quello che iniziò a progettare sulla battaglia di Leningrado abbiamo solo il racconto che fece della scena iniziale ai suoi familiari, a Verdone e ad alcune delle maestranze che abitualmente lavoravano con lui.

L’iconico personaggio di Clint Eastwood nella sua celebre espressione col sigaro (l’altra, ovviamente, è quella senza il sigaro).

I suoi film sono tuttavia uno più bello dell’altro, pieni di passione e attenzione maniacale ai dettagli e, per questo motivo, ci è sembrato riduttivo ammassarli tutti insieme in un solo episodio del podcast. Vogliamo dedicargli il tempo che meritano, quindi torneremo a parlare di Sergio Leone in più di un’occasione. Abbiamo iniziato con la Trilogia del Dollaro, che ci porta in un Far West crudo, sporco e violento ma che, come spieghiamo nell’episodio, è quasi proiettato in una dimensione mitica, immaginaria. Perché i film di Leone sono, come lui stesso ha detto, favole per adulti.
Buon ascolto.

L’episodio può essere scaricato qui.

Un assistente in rosso

Qui sul blog sono sempre in ritardo sulla pubblicazione degli articoli relativi agli argomenti affrontati nel podcast, non riesco proprio a tenere il passo. Il fatto è che mi sono imposto una scadenza per gli episodi (uno ogni due settimane) e non per gli articoli, per cui do la precedenza al lavoro di registrazione e di editing.
C’è anche da dire che nel lavoro di preparazione degli episodi del podcast sono aiutato da Kit, il mio fido assistente felino, che tutto supervisiona e giudica con saggezza.

Ovviamente è lui la mente dietro alle Pergamene del Vecchio Stregone, così come la mente della Spectre era il gatto bianco e non il Numero 1. Non diteglielo però, altrimenti si monta la testa e mi bacchetta ancora di più.

Il vero capo della Spectre.

Per qualche misterioso motivo che solo la sua superiore e imperscrutabile mente felina comprende, Kit sembra essere più interessato al lavoro sul podcast che a quello sul blog. È anche per questo che sono sempre in ritardo con gli articoli, non sono una sua priorità. Forse a lui non piacciono o forse ritiene che io non scriva bene. Fatto sta che senza Kit il podcast non esisterebbe e, di conseguenza, nemmeno questo blog. Se l’uno o l’altro vi piacciono, ringraziate lui, non me e magari mettete qualche like, lo sapete come sono i gatti.

Kit che mi consiglia le letture da fare e che poi io presento negli episodi del podcast. Ha ottimi gusti letterari.

La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, di H. P. Lovecraft

Non potevamo certo evitare di dedicare almeno un articolo ed un episodio del podcast al celebre autore di Providence, che abbiamo letto, riletto, amato e giocato ben prima che divenisse, suo malgrado, una moda, una fonte di merchandise ed una miniera da saccheggiare a piene mani.
Dal momento che i racconti dei Miti di Cthulhu sono fin troppo inflazionati, abbiamo deciso di dedicarci ai racconti del Sogno, in cui si narrano i fantastici viaggi dell’alter ego di Lovecraft, Randolph Carter, nel Mondo dei Sogni.

La mappa del Mondo dei Sogni.

Accompagnare Randolph Carter nelle sue peregrinazioni oniriche vuol dire immergersi in un mondo meraviglioso ed esplorarlo insieme al protagonista, scoprendo così una vera ambientazione fantastica popolata da creature di ogni sorta, ricca di città dalle alte torri, cupe foreste, fiumi, mari, deserti, gelidi altopiani e oscuri abissi sotterranei. Non manca, sullo sfondo, l’inquietante presenza dei terribili Dei Esterni, le stesse divinità protagoniste dei racconti del Mito.
La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath è il più lungo dei racconti del Ciclo del Sogno e costituisce di fatto un tentativo di romanzo, come scrisse lo stesso Lovecraft in una lettera ad August Derleth. La sua ampiezza permette di avere un’ottima panoramica sul Mondo dei Sogni, i dettagli possono poi essere approfonditi leggendo gli altri racconti del ciclo che sono dedicati a luoghi più circoscritti.
Buon ascolto.

L’episodio può essere scaricato qui.

Fonti: Howard Phillips Lovecraft, Tutte le storie oniriche e fantastiche – Il sogno, Newton Compton editori, 1993; Frank Belknap Long, Lovecraft e le ombre, Profondo rosso, 2010; I. N. J. Culbard, La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, Magic Press Edizioni, 2016.

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